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Entrare in politica come si fa: le esperienze e le testimonianze di chi ce l'ha fatta



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Entrare In Politica Come Si Fa




Per quanto anche questi siano sottoposti a un meccanismo di spoil system la prassi ha mostrato come in molti casi i dirigenti dei ministeri restino in carica anche al cambiare dei governi e dei ministri. È molto meno frequente invece che questo accada negli uffici di diretta collaborazione.


Da questo punto di vista è interessante notare il caso degli uffici di diretta collaborazione del ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibile Enrico Giovannini. Nella sua autonoma scelta infatti Giovannini ha deciso di nominare come capo dell'ufficio stampa Claudia Caputi che già aveva ricoperto per lui questo incarico presso il ministero del lavoro durante il governo Letta.


Pur essendo alla sua prima esperienza in un ministero infine anche il capo della segreteria ha in precedenza ricevuto incarichi da esponenti del centro sinistra. Prima di ricoprire questo ruolo infatti Andrea Tardiola era stato scelto da Nicola Zingaretti come segretario generale della regione Lazio.


Per molti la politica non è un lavoro, ma una vera e propria passione, oltre che una professione. Per muovere i primi passi in questo intricato ed affascinante mondo occorre partire dalla politica locale.


La presentazione della domanda di NASpI equivale al rilascio della dichiarazione di immediata disponibilità (DID) allo svolgimento di attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politica attiva. Nei 15 giorni successivi alla presentazione della domanda, il richiedente deve recarsi presso il centro per l'impiego per la stipula del patto di servizio personalizzato. In mancanza, l'assicurato è convocato dal centro per l'impiego.


Nell'attribuire il potere di nomina dei componenti della Corte, la Costituzione ha operato un delicato e complesso bilanciamento fra le diverse esigenze che si sono dette. Un terzo dei giudici (cioè cinque) è eletto dai magistrati di ciascuna delle tre magistrature superiori (tre dalla Corte di cassazione, uno dal Consiglio di Stato, uno dalla Corte dei conti), a maggioranza assoluta (metà più uno dei componenti del collegio elettorale) e con eventuale ballottaggio fra i più votati. Altri cinque sono eletti dal Parlamento in "seduta comune", cioè dalle due Camere riunite, con un voto a maggioranza di due terzi dei componenti nei primi tre scrutini, e di tre quinti dei componenti (cioè circa 570, sui circa 950 deputati e senatori) dal quarto scrutinio in poi. Gli ultimi cinque sono scelti dal Presidente della Repubblica di propria iniziativa. I giudici provenienti dalle magistrature sono portatori di qualificate esperienze giudiziarie e sono sganciati dalle scelte degli organi politici. I giudici di nomina parlamentare (scelti per lo più tra professori e avvocati, ma anche fra magistrati) possono più facilmente essere portatori di esperienze e di sensibilità presenti nelle assemblee rappresentative (spesso hanno anche alle spalle un'attività parlamentare), ma l'elevato numero di voti richiesto per l'elezione fa sì che non sia la sola maggioranza a sceglierli: normalmente intervengono accordi fra le forze politiche presenti in Parlamento, per cui i giudici eletti sono sì indicati, ciascuno, da forze parlamentari diverse, di maggioranza e di opposizione, ma sono accettati e votati dalle une e dalle altre. Non è raro che il raggiungimento degli accordi e del consenso necessari richieda molto tempo e molte votazioni: è per questo che, quando nuovi giudici devono essere eletti dal Parlamento, accade che l'elezione ritardi, e nel frattempo la Corte continui a funzionare a ranghi ridotti. I giudici eletti dal Parlamento non sono comunque rappresentanti o mandatari delle forze che li hanno indicati, ma, al pari di tutti gli altri componenti della Corte, sono indipendenti dai partiti che li hanno eventualmente designati e dallo stesso Parlamento che li ha eletti. I cinque giudici nominati dal Capo dello Stato sono scelti normalmente in funzione di integrazione o di equilibrio rispetto alle scelte effettuate dal Parlamento, in modo tale che la Corte costituzionale sia lo specchio il più possibile fedele del pluralismo politico, giuridico e culturale del Paese. La pluralità delle provenienze e delle fonti di designazione favorisce la presenza di esperienze e competenze diverse (per esempio, di esperti nei diversi campi del diritto, penale, civile, amministrativo, ecc.), nonché di sensibilità e di orientamenti differenti. Ma ciò che conta soprattutto è che, nel collegio, i giudici sono tutti eguali, e danno il loro contributo a titolo individuale. Non ci sono nella Corte gruppi o "partiti": ognuno giunge col suo bagaglio di esperienze e di idee, e lo immette nel lavoro collegiale dimenticando, in un certo senso, la propria provenienza e la propria fonte di designazione (per cui è improprio assegnare i giudici ai diversi raggruppamenti politici e partitici, secondo ciò che si fa, ad esempio, per i membri del Parlamento). Di fatto, il numero limitato dei giudici, il metodo collegiale e l'esclusività dell'impegno nel lavoro della Corte (durante il mandato i giudici non possono svolgere nessun'altra attività professionale, e tanto meno attività politica), la durata del mandato e la lunga consuetudine di lavoro comune (quando la Corte è riunita, tutti i giudici trascorrono sei-sette ore al giorno nella "camera di consiglio", ove discutono tra loro e deliberano nel totale segreto) fanno sì che la fisionomia e le dinamiche interne della Corte siano legate essenzialmente alla personalità dei suoi componenti. Nello stesso tempo, poiché il "prodotto" della Corte (le sue decisioni) è sempre e solo collettivo, esso va sempre considerato come il frutto della integrazione fra i diversi apporti individuali.


La Corte elegge fra i propri componenti il Presidente, che dura in carica tre anni ed è rieleggibile (fino al 1967 durava in carica quattro anni ed ugualmente era rieleggibile). Poiché però la scadenza del mandato novennale di giudice comporta la cessazione di ogni funzione, spesso accade che il Presidente che i giudici scelgono di solito, ma non sempre, fra i colleghi più anziani (non di età, ma di mandato) venga a cessare dal mandato prima del compimento del triennio. È per questo che la durata della presidenza della Corte è spesso breve, cosicché nella vita della Corte si sono succeduti, in sessanta anni, 40 Presidenti. Il Presidente è eletto dai giudici a scrutinio segreto, a maggioranza assoluta (cioè di almeno otto voti, se la Corte è completa), e con eventuale ballottaggio fra i due più votati dopo la seconda votazione. Per evitare che si conosca all'esterno il voto espresso da ogni giudice nelle schede con cui si provvede all'elezione, queste vengono immediatamente distrutte dopo il voto dagli scrutatori. È d'uso tuttavia, da qualche tempo, la diffusione di un comunicato alla stampa, che informa del nominativo del Presidente eletto e del numero di voti da questi conseguito. Anche l'autonomia della Corte nella scelta del proprio Presidente ne esalta le caratteristiche di collegialità. Il Presidente, rispetto all'attività di giudizio, non ha autorità diversa dagli altri giudici, salvo il caso in cui vi sia parità di voti, quando il suo voto vale doppio: è un primus inter pares, i cui poteri consistono essenzialmente nella ripartizione fra i giudici dei compiti di relatore sulle cause, nella fissazione dei calendari dei lavori (il "ruolo" degli affari da trattare in ogni seduta), nella convocazione e nella direzione dei lavori del collegio. Per il resto, egli rappresenta la Corte all'esterno (nell'ordine delle precedenze dopo il Presidente della Repubblica, i Presidenti delle due Camere e il Presidente del Consiglio dei ministri), e sovraintende alla struttura e all'attività amministrativa della Corte, cui però è preposto, come diremo, il Segretario generale. Uno o più vicepresidenti, designati dal Presidente o dalla Corte, sostituiscono il Presidente in caso di assenza o impedimento. Un Ufficio di Presidenza ha compiti deliberativi in alcune materie di organizzazione e di amministrazione. Commissioni composte da alcuni giudici sono costituite per particolari funzioni amministrative (predisposizione di regolamenti, gestione del servizio studi e della biblioteca, rapporti con il personale, ecc.).


Ma prima di vedere nel dettaglio come scrivere una politica di reso per il vostro negozio e implementare un sistema per gestire le richieste, vediamo perché è così importante fare bene resi e cambi.


Per politica di reso si intende l'insieme delle regole definite dal venditore per gestire i resi dei clienti, ovvero i prodotti restituiti dopo l'acquisto, e i rimborsi associati. Una politica di reso dovrebbe includere informazioni e dettagli tra cui quali articoli possono essere restituiti, entro quanto tempo e chi dovrà farsi carico delle spese di restituzione.


È importante che il vostro sistema distingua subito in quale delle due categorie rientra il cliente, in modo da sapere come elaborare la sua richiesta. Il cliente deve sapere se può restituire o cambiare il prodotto prima di acquistarlo, e questo aspetto deve risultare in maniera chiara sul vostro sito web nella pagina della politica di reso.


Il primo passo per impostare un sistema di gestione resi e cambi è formalizzare la vostra policy in modo da poterla comunicare chiaramente ai clienti. Una politica di reso scritta consente di trattare tutte le richieste allo stesso modo ed evitare la tendenza a gestire le cose caso per caso, che è spesso meno produttiva e più costosa.


Quanto tempo si ha per il reso? E per il cambio? I termini entro i quali i clienti possono richiedere reso e cambio di un articolo vanno esplicitati all'interno della propria politica di reso. Questo limiterà le incomprensioni e consentirà di evitare non pochi problemi. 2ff7e9595c


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